About me

Questo spazio nasce con l'intenzione di condividere due mie grandi passioni: leggere e scrivere.
Qui troverete le recensioni dei libri che il destino mette sul mio cammino, quelli che scelgo per istinto in libreria o che mi sono stati consigliati.
Che siano classici o novità non ha importanza, l'importante è mantenere vivo l'amore per la lettura.
In più ogni tanto troverete le mie annotazioni, il mio punto di vista su ciò che mi circonda, ciò che coglie il mio sguardo sul mondo, come fosse un piccolo diario.
Il mio nome è Anna e vi do il benvenuto nel mio grande mondo!

Anna Crisci è nata a Firenze nel 1967, dove vive tuttora.
Autrice di commedie teatrali, scrive recensioni e
consigli di lettura sul sito Firenze Formato Famiglia e gestisce questo blog che è anche pagina Facebook dove tratta,
tra l'altro, di libri e spettacoli teatrali. Con il gruppo
ConsapevolMente si occupa di organizzare eventi per promuovere la figura femminile e la difesa della donna.
Nel 2017 ha partecipato con due
racconti all'antologia tutta al femminile “Squilibri”, edita
dalla Porto Seguro e ha pubblicato il suo primo romanzo "La lista di Clelia" anch'esso edito da Porto Seguro.



domenica 23 ottobre 2016

Il ruggito


Non è facile essere cattivi oggi giorno, niente affatto, ci vuole coraggio.
Esistono persone buone, sagge, umili, che piuttosto di ferire preferiscono subire in silenzio. Un logorroico silenzio.
Lucia era una di quelle persone. Aveva subito tante di quelle volte il giudizio assurdo e ingiustificato degli altri che quasi le sembrava di averci fatto l’abitudine, ma non era vero, non ci si fa l’abitudine.
Si può decidere di prendere la decisione più corretta, quella di evitare di rispondere ad arma tagliente con arma tagliente. Si può essere superiori e ignorare le cattiverie, ma non ci si fa l’abitudine.
Ogni volta che qualcuno a lei vicino, un conoscente, un'amica ipocrita, un parente, un collega di lavoro, la trattava con sprezzante superiorità, cercando il punto dove fa più male, lei ingoiava, sforzandosi di capire le difficoltà, il vissuto, la storia che aveva portato quella persona a dire, a comportarsi, a fare cose nei suoi confronti così incomprensibili, dal suo punto di vista.
Sarebbe bastata una risposta breve, ma decisa, che avrebbe fatto a fette l’avversario e l’avrebbe distrutto.
Era questo modo di pensare che la spingeva ad andare avanti. La convinzione che se solo avesse risposto come le suggeriva la sua voce interiore, la persona avanti a lei non avrebbe retto.
La sua voce interiore, la sua unica vera amica, provava e riprovava tutte le volte a tirarle fuori quel pensiero destinato a rimanere tale.
Era la pena per gli altri che l’aveva sempre fregata. Con le parole si può uccidere e Lucia lo sapeva. Le parole non tornano indietro, rimangono là dove le hai dette pronte a far sanguinare la ferita ogni volta che il ricordo gli cammina accanto.
Quella mattina però Lucia si era alzata diversa.
Il ricordo del sogno che aveva fatto durante la notte era ancora così vivido, tanto che sembrava lo potesse toccare, sul cuscino dal quale il suo viso sembrava non volersi allontanare. Era stato un sogno così strano e ingarbugliato, come lo sono sempre i sogni, che se avesse provato a raccontarlo non ci sarebbe riuscita.
La sensazione che però le aveva lasciato, era chiara, netta, quella no, non la poteva ignorare.
Si era svegliata cattiva, sinceramente cattiva. Non la infastidiva quella strana sensazione, anzi la faceva sorridere. Si sentiva insofferente, piacevolmente antipatica, superiore e arrogante. Si guardò soddisfatta allo specchio, immergendosi nell’oscurità del suo sguardo cercando la fonte di tutta quell'antipatia per il mondo e prese atto che c’era sempre stata.
Si truccò, si vestì, sorseggiò il caffè e infine fu pronta per uscire.
Non aspettò l’ascensore, non aveva proprio voglia di aspettare i comodi della coppia di anziani del primo piano che lo tenevano occupato alle ore più impensabili, nonostante non avessero niente da fare, come tutti i pensionati. Sorrise al vago ricordo che fino al giorno prima li aveva sempre giustificati.
Così scese i suoi tre piani a piedi e passò davanti alla porta dell’ascensore al pian terreno, proprio mentre ne uscivano i vecchietti del primo piano che si recavano sicuramente al supermercato a comprare tre mele, un etto di pane, due pomodori e due fette di petto di pollo, intralciando chi invece doveva andare a lavorare.
La portinaia, come al solito, era nella sua gabbia a osservare il traffico condominiale, senza perdersi un particolare di quel che le passava davanti agli occhi, con l’aria di chi giudica senza appello. Di sicuro ne aveva da ridire su ogni inquilino del palazzo.
«Buongiorno signora, è in ritardo stamani.».
Aveva fatto quell’affermazione squadrando Lucia dall’alto in basso e con il tono di chi guarda quel che fanno gli altri, ma mai abbastanza per sé. Lo faceva sempre, ma quello non era un giorno come tutti gli altri.
«E quindi?» Lucia non le toglieva gli occhi di dosso, la fissava con aria di sfida.
La portinaia era rimasta muta, la risposta di Lucia le era sembrata il ruggito di una leonessa, capace di scompigliarle la messa in piega. Se ne era tornata dentro la sua guardiola fingendosi occupata e con gli occhi bassi in cerca di coraggio. Quel genere di coraggio di cui sono carenti gli arroganti nel momento più opportuno.
Lucia si chiuse il portone alle spalle e lasciò che l’aria primaverile le rinfrescasse la mente.
Alla sua fermata l’autobus arrivava già con tutti i posti a sedere occupati quando, di prima mattina, mentre si va a lavorare, è così piacevole trovare un posticino vuoto per ammortizzare la sensazione negativa lasciata dalla sveglia. A lei non toccava quasi mai e dopo un paio di fermate, si trovava intrappolata in un frullato composto di studenti, impiegate e qualche anziano che non aveva niente da fare, se non occupare un posto sull’autobus in ora di punta.
La cosa che la sorprese piacevolmente fu che stavolta non si limitò a pensarlo e a sopportare.
Quando uno studentello con tre peli in faccia le spinse contro la schiena il suo zaino, lei non esitò un attimo.
«Senti un po’ bellino, lo zaino quando sali in autobus lo potresti anche togliere dalla schiena, o tutta la cultura che contiene non è sufficiente a renderti educato?».
«Quante storie! Pensa a farti gli affari tuoi brutta befana», fu la risposta che uscì dalla bocca di quel viso paonazzo che tradiva la vergogna di essere stato richiamato all’ordine da qualcuno che non era mamma e papà.
Gli amici sghignazzavano e lui si gongolava per la grande risposta che era riuscito a formulare.
«Tu sei un imbecille, probabilmente figlio di imbecilli e il mondo ti tratterà come tale, stai pure tranquillo. Ridi ora perché, appena ne avrà l’occasione, la vita lo farà con te»
Dette queste parole Lucia scese alla sua fermata, lasciandosi incurante alle spalle i commenti di quei ragazzini, ma tremendamente soddisfatta di non aver subito in silenzio.
Si avviò verso il suo ufficio, dove ogni giorno era trattata con ingiustificata superiorità da un capo spocchioso e da colleghi ruffiani e arroganti.
Entrò nel portone, salì in ascensore e, arrivata al quarto piano, aprì con le chiavi la porta di quella prigione quotidiana.
«Buongiorno a tutti» disse ad alta voce, chiudendo la porta con la spinta di un piede, mentre le sue labbra disegnavano un sorriso sarcastico sul viso illuminato da uno sguardo che, lì dentro, nessuno aveva avuto il piacere di incrociare.
Fino ad allora.

 

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