About me

Questo spazio nasce con l'intenzione di condividere due mie grandi passioni: leggere e scrivere.
Qui troverete le recensioni dei libri che il destino mette sul mio cammino, quelli che scelgo per istinto in libreria o che mi sono stati consigliati.
Che siano classici o novità non ha importanza, l'importante è mantenere vivo l'amore per la lettura.
In più ogni tanto troverete le mie annotazioni, il mio punto di vista su ciò che mi circonda, ciò che coglie il mio sguardo sul mondo, come fosse un piccolo diario.
Il mio nome è Anna e vi do il benvenuto nel mio grande mondo!

Anna Crisci è nata a Firenze nel 1967, dove vive tuttora.
Autrice di commedie teatrali, scrive recensioni e
consigli di lettura sul sito Firenze Formato Famiglia e gestisce questo blog che è anche pagina Facebook dove tratta,
tra l'altro, di libri e spettacoli teatrali. Con il gruppo
ConsapevolMente si occupa di organizzare eventi per promuovere la figura femminile e la difesa della donna.
Nel 2017 ha partecipato con due
racconti all'antologia tutta al femminile “Squilibri”, edita
dalla Porto Seguro e ha pubblicato il suo primo romanzo "La lista di Clelia" anch'esso edito da Porto Seguro.



giovedì 29 settembre 2016

"Franny e Zooey" di J.D. Salinger

Eccoci nuovamente ad affrontare Salinger, questa volta con due racconti, Franny e Zooey appunto.
 
Qui ritroviamo alcuni personaggi presenti nei "Nove racconti" (vedi il mio post del 1° settembre) e forse anche qualche risposta.
Sarà come ritrovare vecchi amici.
 
All'inizio sinceramente non si capisce di cosa parli, se si tratta di due racconti distinti o se forse ad un certo punto si congiungeranno. Dopo però la curiosità ci spinge ad andare avanti e veniamo catapultati nel mondo della famiglia Glass.
Una casa dove Salinger ci fa toccare i mobili, sentire l'odore del sigaro e assistere a conversazioni, sguardi, silenzi.
E' in quel momento che capiamo cosa si nasconde dietro al racconto dei Pesci Banana (il primo della raccolta "Nove racconti" e tutti gli altri a seguire) e scopriamo dialoghi perfetti, personaggi caratterizzati con tocchi da maestro e una nuova sfaccettatura dell'autore.
 
"Aspirò una boccata di fumo.
Accidenti - disse - ce ne sono di cose belle al mondo. E quando dico belle intendo belle. Siamo degli idioti a svicolare sempre dalle cose. Sempre, sempre, sempre lì ad annotare tutti gli accidenti che capitano al nostro piccolo schifoso io."
 
Il solito Salinger per fortuna.
 
Leggetelo e fatemi sapere cosa ve ne pare...
 
 
 


giovedì 22 settembre 2016

"Trilogia della città di K." di Agota Kristof - Edizioni Einaudi

Agota Kristof è nata nel 1935, in un villaggio sperduto dell'Ungheria.
Impara a leggere a quattro anni e a quattordici scrive le sue prime poesie.
Nel 1956, a causa dell'intervento nel suo paese dell'Armata Rossa, fugge con il marito e la figlia in Svizzera, dove vivrà fino alla morte.
Nel 1987 raggiunge il successo internazionale con "Il grande quaderno" che poi confluirà insieme a "La prova" e a "La terza menzogna" nella "Trilogia della città di K."
 
Diviso in tre parti e ambientato in un paese in guerra non ben precisato, i protagonisti assoluti sono i due gemelli Lucas e Claus che la madre per colpa della guerra è costretta ad affidare alla nonna, una donna fredda e crudele che li costringerà ad una infanzia molto dura.
I nomi dei due fratelli sono l'uno l'anagramma dell'altro e per tutto il libro risultano personaggi interscambiabili, tanto che fino alla fine non si è certi quale sia la verità.
 
L'autrice culla il lettore in questa "favola nera" con una scrittura limpida e, con l'uso delle metafore, permette di toccare con mano l'atmosfera cupa di un paese in guerra.
Agota Kristof lascià però anche un messaggio ed invita all'importanza della memoria
 
"... ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e nient'altro. Un libro geniale o un libro mediocre non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia..."
 
 

martedì 20 settembre 2016

Signora a chi?

Capita anche a voi di provare uno strano senso di impotenza, che si trasforma velocemente in un tic nervoso, quando si rivolgono a voi chiamandovi "signora"?
Chissà perché a noi donne infastidisce cosi tanto.

Quando succede che le persone, sopratutto i giovani, si rivolgono a noi con quell'intercalare, a metà strada tra l'educazione e il dovere, definendoci "signora", è chiaro che non lo fanno per rispetto, né tanto meno perché pensano di catalogarci come donne di gran classe. Semplicemente ci vedono vecchie.
Ci dà fastidio eccome, perché tutto ci sentiamo fuorché fuori moda.

Quando eravamo noi i giovani, le donne dai trentacinque anni in su erano veramente delle "signore". Avevano figliato già due o tre volte, erano le mamme dei nostri amici, le nostre zie.
Le donne all'epoca erano mogli o zitelle ed entrambe vestivano con i tailleur, le più spavalde sostituivano la gonna con un pantalone e le camicette erano candide, mentre i capelli portavano la messa in piega gonfiata dai bigodini. Quelle che di loro non si sposavano venivano gentilmente chiamate "signorine".

Noi siamo mogli, single o conviventi, ma in compenso ci chiamano tutte "signora". 
Noi vestiamo con i leggins, jeans strappati e se ci va ci facciamo ancora le trecce. Ci sono mamme che vestono con pantaloni attillati e la sera vanno fuori con le amiche. Sanno gestire i social network e probabilmente si fanno più selfie delle figlie.
Ci sentiamo ancora ragazzine, siamo forse meno mature delle nostre mamme, abbiamo visto un mondo diverso e pieno di possibilità e proprio non ci va di farci mettere in un angolo da una definizione.

Resta il fatto che in autobus ti cedono il posto, quando si rivolgono a te lo fanno con un "scusi signora" e rimani senza parole, dopo che ti sei girata pensando che si rivolgessero ad altri e scoprendo che invece dicevano proprio a te.
Chissà se anche le nostre zie e le nostre mamme si sentivano così, ancora piene di energie, ma già considerate da rottamare.

Credo che una delle ragioni che possa giustificare il nostro scompenso risieda nel fatto che la vita della donna si è arricchita di orizzonti. Non esiste più solo ed unicamente la famiglia, intesa come qualcuno da accudire e solo ed unico obiettivo, ma si è aggiunto il lavoro, l'importanza dell'avere i propri interessi e la varietà di relazioni esistenti nella vita di una donna, oggi considerata normalità, ma un tempo guardata come cosa di cattivo gusto. Varietà di relazioni che insegnano alla donna a non fare di un uomo il centro della propria vita, a mostrarsi curiosa del mondo e a rialzarsi dopo una sconfitta, spingendola a cercare ciò che è meglio per lei e probabilmente facendola sentire eternamente una teenager.

giovedì 15 settembre 2016

Mamme forever

Se avete sempre pensato che ferragosto sia il giorno dell'anno più rappresentativo per definire l'italiano medio, non vi siete mai trovati davanti ad un qualsiasi istituto il primo giorno di scuola.
Averne una davanti casa mi permette, mio malgrado, di avere contatti quotidiani con una delle lobby più fanatiche e potenti che esistano: le mamme.

Premesso che non ho niente in contrario alla costruzione di una famiglia e alla procreazione, comunque la si intenda, resta il fatto che fondamentalmente alcune mamme (non tutte per fortuna, ma una buona fetta si) minano seriamente la mia indole pacifista.Hai un figlio? Ok, siamo felici per te. Ne hai fatti due o più? Va bene, se è quel che volevi.
Ora però, spiegaci perchè tutto questo ti fa pensare che l'universo si apra in due per farti passare, neanche fossi Mosè davanti al Mar Rosso.



Ho visto mamme occupare l'intero marciapiede con un passeggino vuoto, tenendo per mano il loro bimbo che ormai cammina meglio di loro, creando code che nemmeno sulla Salerno-Reggio Calabria...
Ho osservato gruppi massonici, riuniti fuori dalla scuola a discutere animatamente del metodo usato dalle insegnanti, formati dalle stesse mamme che poi passano la giornata a fare i troll sul gruppo wathsapp per decidere di che colore devono essere le tovaglie per la festa di classe.
Non è raro trovarsi di fronte a piccoli diavoli assatanati ai quali non viene insegnato neanche l'abc dell'educazione, con la scusa che poverini sono piccoli. 


Nonostante tutto, se pure vivono il loro ruolo di madri come fossero le depositarie del Santo Graal, hanno due ottimi motivi per essere felici dell'inizio della scuola:
1) finalmente si liberano dei loro adorati figli. L'inizio delle scuole coincide per molte di loro con l'inizio delle vere vacanze.
Sanno, che una volta lasciati alle insegnanti, potranno andare dove gli pare, che può voler dire a lavoro, visto quasi come un'oasi di pace, a fare la spesa, senza sentirsi tirare per la camicia e libere di girare fra gli scaffali scegliendo con cura una crema, o in palestra dove è vero che corrono, ma su un tapis roulant e non dietro a terminator. Possono fare a meno per qualche ora della baby sitter, di suocere incapaci (perchè son sempre loro quelle meno adatte ai loro figli, fateci caso) oppure di ore passate con i bimbi senza sapere cosa fargli fare in alternativa a cartoni animati dell'ultima generazione, sparati in tv come fossero missili;
2) finalmente possono riprendere le attività del loro gruppo whatsapp preferito, il "GRUPPO MAMME FOREVER".

"I giorni dell'abbandono" di Elena Ferrante


Pubblicato nel 2002 , questo libro è scritto dalla misteriosa autrice la cui vera identità si cela dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante.

La storia racconta di Olga, moglie quarantenne e madre attenta che apprende d’improvviso della crisi esistenziale con annessa amante, del marito Mario. Trascorre un periodo lungo, doloroso e difficile, una discesa verso il fondo suo malgrado, mentre rimangono sulle sue spalle due figli, un cane, e tanta solitudine.
Gli amici in comune con il marito scelgono di schierarsi a favore di lui e lei, senza lavoro e amicizie sue, si trova riflessa in uno specchio, persa in un vortice di domande senza risposta.

La scrittura della Ferrante è tagliente e precisa, con un linguaggio a tratti volgare, come volgare appare agli occhi di una moglie il rapporto tra il marito e la sua amante.
Non rimane difficile entrare in sintonia con la protagonista che vorremmo abbracciare e cullare, rassicurandola che tutto passerà, ma spronandola anche a rialzarsi, mentre l’ascoltiamo nei suoi sfoghi:

“… tutto il tempo della mia vita si era preso, e solo per disfarsene con la leggerezza di un capriccio… non s’é portato via il mondo, s’è portato via solo sé stesso…”

La Ferrante ci trasmette un messaggio importante, valido per tutte le donne, che siano mogli, amanti, figlie. In ogni pagina del libro c’è tutta la forza che l’autrice chiede a noi donne di tirare fuori

“… non farti rompere come un soprammobile, non sei un ninnolo, nessuna donna è un ninnolo…”

mercoledì 14 settembre 2016

Luoghi comuni

Circa un mese fa mi trovavo all’aeroporto di Dusseldorf in attesa di una coincidenza quando, durante l’eterna conversazione sulle differenze tra uomo e donna, mi sono sentita fare la seguente obiezione: 
“La maggior parte delle donne è acculturata. Legge, va a teatro, insomma sono tutte abbastanza omologate.”.

Dicesi Omologazione: "conformazione agli standard sociali e ai modelli culturali dominanti, con la perdita della propria specificità".(Cit. Dizionario)

Peccato che l’amore che le donne nutrono per la lettura, il teatro, ogni forma d’arte, la cultura in genere, sia proprio il motivo principale per il quale non possano essere in alcun modo omologate.
Come potrebbe tutto ciò farci perdere la nostra specificità?
Al contrario, va solo ad accentuare le nostre mille sfaccettature, quelle che ci rendono uniche. Allarga i nostri orizzonti, apre le nostre menti. 
Se c’è una cosa che rende liberi è proprio la cultura e per cultura intendo tutto ciò che forma il bagaglio di esperienze di una persona, che non è da confondersi con il titolo di studio altisonante. 
Conosco persone laureate che potrebbero essere utilizzate al posto delle cavie per gli esperimenti sulla ricerca dei neuroni fantasma.
Basta trovarsi in un posto affollato ed ascoltare le conversazione della gente per capire che il mondo va avanti a forza di luoghi comuni quindi mi sono chiesta, a parte il fatto che amiamo tutte quelle cose noiose come i libri e il teatro e che non servono a niente, quali altri sono i luoghi comuni entro i quali gli uomini amano circoscriverci?
Ci ho pensato un attimo e me ne sono venuti in mente alcuni:
- Viviamo in eterna competizione fra di noi e non per grandi ideali, ma semplicemente per accaparrarci un misero lui;
- Abbiamo come unici obiettivi: il matrimonio e i figli;
- Facciamo figli per non andare più a lavorare;
- Cerchiamo l’uomo che ci possa mantenere;
- Siamo gelose ed estremamente invidiose di tutte le donne, compresa la loro madre;
- Ogni osservazione fatta su un’altra donna è frutto della gelosia, a meno che ovviamente la donna in questione non sia da loro considerata un cesso;
- Vogliamo limitare la loro liberta e tenerli legati a noi, sottoposti alla sudditanza eterna;
- Ci conoscono come le loro tasche perché alla fine siamo tutte uguali.
E infine, la perla delle perle:
- Le grasse hanno la cellulite, le magre no.
E su questo punto vorrei che tutte le donne si alzassero in piedi e facessero la ola, anche le magre dai.
A voi vengono in mente altri luoghi comuni?
Coraggio donne, non siate timide, vi sto dando carta bianca…

martedì 13 settembre 2016

A me gli occhi please

Non pretendo che quando parliamo gli uomini ci guardino negli occhi, spesso evita di farlo anche il mio cane. Se però riuscissero a non fissarci con indagine scientifica ad altezza sterno e si concentrassero sul labiale, potrebbero almeno cercare di intuire ciò che stiamo dicendo.
Mi è capitato sere fa a cena a casa di amici, quando ho fatto i miei complimenti ad un uomo per la sua cucina e lui ha gentilmente ringraziato la mia quarta di seno. Poi nuovamente mi è capitato questa mattina quando ho chiesto un'informazione a tre uomini diversi per età, professione e provenienza perché di donne a portata di mano non ce n'era, altrimenti ne bastava una e con la risposta esatta. 
Non solo non sono riuscita a sapere quel che volevo, ma ho anche dovuto seguire un corso di aggiornamento rapido sull'interpretazione delle espressioni facciali.
Niente da fare, ho dovuto farmi la domanda e darmi la risposta.
Non ve la prendete uomini, vi amiamo lo stesso e sopratutto per la vostra smisurata semplicità.

giovedì 8 settembre 2016

Anna Karénina - di Lev Tolstoj

Ci sono libri che vanno riletti a distanza di anni per capire quanto siamo cambiati e se è mutato il nostro approccio con essi, così durante la pausa estiva sono tornata ad un vecchio amore, Anna Karenina.
Ho scoperto che l'amore che mi lega a questo libro non solo si è rafforzato, ma è anche maturato con me. Se l'attenzione della prima lettura era concentrato sulla storia principale, fatta di fuoco e passione, questa seconda ha puntato i riflettori su tutte le sotto trame create dall'autore, apprezzandole non solo dal punto di vista puramente letterario, ma anche da quello dello stile e della tecnica usati.
 
E’ ormai assodato che Tolstoj faccia parte dell’Olimpo degli scrittori e non vi è alcun dubbio che Anna Karenina sia uno dei personaggi femminili più intensi della letteratura.
Eppure questo romanzo appartiene a quella categoria che spesso, purtroppo, si sceglie di non leggere per paura sia troppo arduo e pesante, vista la mole di pagine che l’autore si è preso la briga di scrivere (la mia edizione ne conta ben 1.024).
Timore, a dire il vero, perfettamente comprensibile dato che molte di quelle pagine sono dedicate ad argomenti quali l’agricoltura, la burocrazia e la guerra. 
Argomenti importanti per l’epoca e senza dubbio per Tolstoj, ma cosa vuole in fondo il lettore, se non sapere cosa ne sarà dei protagonisti, che decisioni prenderanno, a quale destino andranno in contro? 
A questo proposito ricordo a tutti l'esistenza del diritto del lettore a saltare le pagine che Pennac ci ha generosamente donato. Sfruttatelo, ma non tralasciate la lettura di un libro solo per la quantità di pagine o per la pesantezza che secondo voi possiede uno scrittore "importante". Non precludetevi in alcun modo la scoperta di nuovo orizzonti.
Tolstoj ha creato un’opera meravigliosa partendo da un’idea, se vogliamo molto banale, quella di una moglie che tradisce l’austero marito per un affascinante ufficiale dell’esercito e che le farà conoscere la vera passione. Tutto qui?
In realtà Tolstoj prende l’idea da un fatto di cronaca e lo utilizza sapientemente, usando simboli e metafore, per affrontare temi a lui cari quali la fede, il matrimonio, la famiglia ma anche la gelosia, la fedeltà, il progresso, la guerra. Fa tutto questo aprendoci le porte di un paese straordinario e affascinante, un mondo perso nel tempo e a noi sconosciuto.
Anna appartiene all’alta società di San Pietroburgo, un mondo ipocrita e bigotto che le volta le spalle appena tradisce il marito Karénin, allontanandola non perché colpevole di adulterio, ma perché incapace di viverlo privatamente rinunciando alle regole della convenienza. 
I due amanti vanno a vivere insieme nonostante lo scandalo li travolga, ma "dove è curato solo il fuoco della passione tralasciando di curare l’amore, facilmente prende spazio la noia" e Vronskj è nuovamente attirato da quella stessa società che continua ad adularlo riservandogli, in quanto uomo, un trattamento completamente diverso da quello usato per additare Anna. La gelosia fa il resto e la fine è nota.
Una trama costellata di personaggi indimenticabili, ancora attuale per alcuni versi, che ci permette di conoscere a fondo un’epoca, un impero in declino, un paesaggio unico nel suo genere.  
Tolstoj dimostra di conoscere molto bene l'animo umano, descritto con pungente ironia fingendo che sia quasi casuale, ma ancor più conosce l'animo femminile in tutte le sue sfaccettature.
Contrappone l'amore passionale di Anna e Vronskj  all'amore puro e spirituale tra Kitty e Levin; il devoto amore materno di Dolly a quello egoista e selettivo di Anna; l'austerità  di Karénin e l'idealismo  di Levin alla superficialità di Stiva.
Ci dimostra che la vita di una donna è fatta di tante cose e non solo degli obblighi dettati dalla società in cui vive,  che ogni donna racchiude in sé un'infinità di emozioni e il diritto a viverle.
Può una donna non avere gli stessi diritti di un uomo? È giusto privarla di un'educazione culturale per farne una semplice dama? Ha il diritto di ribellarsi a ciò che la società ha deciso sia bene per lei? Può nutrire emozioni contrastanti ai ruoli di moglie e madre a lei imposti? Ma sopratutto, ha il diritto la donna alla felicità che desidera?

Una storia intensa con uno degli incipit più belli di tutti i tempi e capace di far presagire fin dall’inizio ciò che avverrà, catturando così il lettore per sempre:

“Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.
 

giovedì 1 settembre 2016

"Nove racconti" di J.D. Salinger

Salinger non è certo un autore che ha bisogno di presentazioni.
Chi non conosce "Il giovane Holden", letto ed apprezzato dagli studenti di tutto il mondo?
Forse qualche studente distratto...
 
Questa volta ho scelto di parlarvi del suo "Nove racconti" anche se, nonostante io sia un'amante del racconto in genere, ho dovuto comunque aggiustare il tiro per apprezzarli pienamente.
Forse è proprio perché all'inizio sembrano non lasciare profonde impronte che ci si concentra sulla perfezione dei dialoghi, sui tratti che delineano con precisione chirurgica la personalità di personaggi che una volta finito di leggere rimangono presenti, come fossero persone che abbiamo incontrato davvero. 
Fatto sta, durante la lettura si soffre di non saperne di più, di aspettare risposte ai nostri perché che Salinger non ci darà mai.
 
"... il romanzo e il racconto si possono paragonare al cinema e alla fotografia"
(Cortazar)
 
Una frase illuminante per trovare la giusta chiave di lettura per questi racconti.
 
Se leggiamo i racconti di Salinger chiaramente ci troviamo davanti a delle istantanee.
Momenti di una vita che potrebbero appartenere alla vita di tutti.
Letti con quest'ottica, non disturbano più le domande senza risposta, così come il non sapere cos'è avvenuto e cosa avverrà.
 
Fotogrammi, come nei vecchi film del cinema muto dove poche parole raccontavano l'intera storia.