Nell'estate del 2014 mi trovavo in Polonia per un'amichevole fra Fiorentina e Real Madrid, ed è stata la scusa per visitare Varsavia e Cracovia e conoscere un paese pieno di risorse e in continua crescita.
Un viaggio che consiglierei ad occhi chiusi, ma le cui impressioni non ho subito messo per iscritto perché significa necessariamente tirar fuori delle emozioni forti.
Non si può descrivere la Polonia e le sue bellezze, senza parlare della ricostruzione e della memoria.
Non potrei mai parlare di Varsavia, senza dire che è risorta dalle macerie, anche se proiettata nel futuro. Non posso raccontare Cracovia, senza associarla alla visita fatta ad Auschwitz e Birkenau.
Oggi parlerò proprio di questo, dell'impatto che ha avuto su di me una giornata trascorsa in luoghi che si vorrebbe non fossero mai esistiti.
Se appartenete a quel gruppo di persone, purtroppo non troppo ristretto, che ancora oggi non conoscono la differenza tra campo di concentramento e campo di sterminio, tranquilli, una volta li non la dimenticherete mai più.
All'arrivo a destinazione, il pullman lascia i turisti all'accoglienza, perfetta e senza sbavature, del personale addetto alle visite, impeccabilmente professionale.
Le guide, che parlano ogni lingua, sono in gran parte giovani che riescono a trasmettere, nel corso delle loro spiegazioni, tutto il dolore che il loro popolo si porta dietro, come un bagaglio a mano e del quale non può e non vuole disfarsi perché sa che dimenticare sarebbe offensivo, innaturale e molto, molto pericoloso.
La guida per gli italiani quel giorno si chiamava Eva e non la ringrazierò mai abbastanza per aver mostrato, spiegato e cercato di trasportarci in quel tempo, mai abbastanza lontano.
La guida per gli italiani quel giorno si chiamava Eva e non la ringrazierò mai abbastanza per aver mostrato, spiegato e cercato di trasportarci in quel tempo, mai abbastanza lontano.
La nostra guida è stata capace di creare con noi una tale empatia, con ciò che quei luoghi significano, da lasciare, alla sottoscritta sicuramente, un ricordo indelebile di ciò che le fotografie non possono raccontare a pieno.
Più che i numeri sono gli oggetti, gli indumenti personali, le matasse di capelli a lasciare il segno.
Sapere che i deportati arrivavano con il sogno e la speranza di una nuova vita e che molti di loro morivano già, per fortuna, durante il viaggio.
Conoscere l'ironia cattiva del regime nazista che aveva circondato il ghetto di Cracovia, anticamera dei campi, con mura che avevano l'aspetto delle lapidi dei cimiteri ebrei.
La crudeltà usata verso chiunque non corrispondesse al loro ideale.
Un progetto per eliminare non solo gli ebrei, ma tutte quelle categorie di persone vittime dell'orribile disegno di una follia:
etnie scomode, omossessuali, donne, vecchi e bambini che non fossero utili per il lavoro nei campi, malati, storpi.
La violenza e la pazzia degli esperimenti, lo sfruttamento di quelle vite che duravano non più di tre mesi, il disprezzo totale verso i propri simili.
Il commercio fatto di tutto ciò che poteva essere utile: capelli, denti, protesi.
Voglio essere onesta e probabilmente non politicamente corretta, prima di noi è entrato un gruppo di tedeschi e non ho potuto fare a meno di chiedermi, alla fine, con quali emozioni ne siano usciti loro.
Io, che mio malgrado appartengo ad un paese che era loro alleato, ne sono uscita sporca di una colpa che non potrà mai essere ripagata, mai perdonata.
Possiamo però fare qualcosa, se davvero lo vogliamo, guardarci intorno perché il mondo non sembra aver capito, anzi sembra piuttosto aver dimenticato.
Oggi è il giorno della memoria ed è giusto che ci sia, ma la memoria va coltivata ogni giorno perché ogni giorno nel mondo continua ad esistere l'odio e l'orrore della follia umana.
Questo è ciò che non dobbiamo dimenticare mai.
(Foto gentilmente concesse da Alessio Mancini)
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